Il (micro)credito: capitale e lavoro per i meritevoli. Prefazione di Luca Meldolesi
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Il lettore che si inoltrerà con pazienza in queste pagine, si accorgerà che la questione del piccolo credito alla produzione contiene una problematica molto ricca, piena di potenzialità inespresse per il Mezzogiorno. Forse, al temine della sua lettura, nella sua mente un interrogativo prevarrà su ogni altro.
Se si pensa a questa tematica rispetto alla quotidianità della vita vissuta, con le sue esigenze legittime, pressanti, non ne emerge forse un curioso paradosso? Come si spiega che, nonostante la sua utilità e la sua notorietà, anche a livello internazionale, nella professione dell’economista, come in tanti settori del sistema politico e sindacale si sia a lungo sottovalutato un tema cruciale come questo?  Perché è stato trattato finora come una specie di cenerentola della politica economica?
Eppure, nonostante i suoi limiti (non può esser certo una panacea di tutti i mali!), un’intelligente politica economica pratica e democratica del piccolo credito, soprattutto se è appoggiata ad un giro di giovani operatori intraprendenti e capaci, può avere effettivamente una funzione di primo piano, soprattutto nelle situazioni socialmente difficili.
Se non altro, lo lasciano pensare una serie di elementi chiave, palmari e pedestri, che caratterizzano questo strumento - come la modestia dell’investimento pubblico iniziale richiesto; il meccanismo stesso di erogazione che, se ben gestito, ne moltiplica (otto volte) l’effetto sul territorio; il fatto che, una volta avviato, il piccolo credito assicura un finanziamento nel tempo che sempre si rinnovella, come una specie di stantuf-fo che, una volta messo in funzione, pompa prestiti a vantaggio degli artigiani e dei piccoli imprenditori di una determinate zona; l’ampiezza del bacino imprenditoriale, in actu et in potentia, a cui si riferisce, e che la sua stessa esistenza può orientare nella giusta direzione; l’utilità oggettiva che questo strumento viene ad avere per singoli imprenditori e comparti produttivi che sono di fatto esclusi dal credito bancario corrente; la mobilitazione di energie, altrimenti poco o punto utilizzate, che mette in moto, soprattutto quelle decisive delle capacità di lavoro e di sacrificio delle famiglie italiane; la necessità del calcolo economico e dell’impegno concreto per l’imprenditore e per i suoi che impone, e che corregge ipso facto alcune tendenze comportamentali negative purtroppo diffuse, abitua ad atteggiamenti corretti, costruisce rapporti fiduciari ecc.
D’accordo, ma allora torniamo alla nostra domanda iniziale: come si spiega?
Non vorrei riaprire qui, ancora una volta, il vaso di Pandora sulle incapacità e sulle nequizie umane.
Non sarebbe utile; anche perché il lettore lo sa da sé (by and large) come stanno le cose, senza che debba scriverlo io. Piuttosto, penso che valga la pena di trasformare quella domanda in positivo.
Come si spiega vorrei così riproporla che, nonostante le note disavventure (chiamiamole così eufemisticamente), il tema del piccolo credito viene oggi prepotentemente alla ribalta e trova un interlocutore prezioso nella Fondazione Mezzogiorno Europa?
Si spiega, risponderei, con il fatto che, in proposito, i risultati utili esistono davvero; e che ne suggeriscono, in realtà, molti altri. Non è facile incontrare esperienza veramente riuscite di piccolo credito.
Lo scopo del presente lavoro è innanzitutto di segnalarle; e con esse di mettere a fuoco un ampio ventaglio di attività che fanno loro corona.
Lo scopo è di chiarire le ragioni (ovvie e meno ovvie) dei risultati delle une e delle altre, che hanno certo a che fare con la cura con cui viene svolto il lavoro con la passione, la responsabilità, l’ingegnosità, il buon senso economico, la pazienza di chi svolge un lavoro così delicato ed utile.
Da queste esperienze si può imparare a lavorare bene per dare un contributo effettivo ad una miriade di piccole iniziative ed alle loro comunità di riferimento.
Chi può farlo? La pratica è esaustiva in proposito: tante persone differenti, che provengono dagli ambienti più diversi (politici, sindacali, amministrativi, produttivi, bancari, assicurativi, associativi, universitari, religiosi, giovanili ecc.), di età ed esperienza molto differenziate, dotate di acume e di olio di gomito. Sono protagonisti sconosciuti della nostra vita collettiva.
Approfittando di una costellazione di circostanze (ovvero di condizioni sociali ed istituzionali favorevoli rispetto allo scopo) essi hanno avuto la capacità ed il coraggio di aprire una pagina di un libro nuovo, per un’Italia che vorremmo coltivare  –  una pagina per di più che è leggibile anche da un punto di vista quantitativo.
Ho avuto la fortuna di incontrare personalmente alcuni di coloro che sono riusciti a far bene in questo lavoro delicato.
E mi è venuto da pensare che, dal punto di vista della politica economica per il Mezzogiorno, la prima cosa da fare sarebbe quella di “metterli su un piedistallo”.
 
Luca Meldolesi - Ordinario di politica economica Università degli Studi di Napoli Federico II